Il mare quella mattina non aveva intenzione di farci sconti.
Onde larghe, lunghe, pesanti.
La barca saliva e scendeva come se stesse respirando affannata, e ogni volta che prendevamo un’onda di prua ci ritrovavamo con spruzzi salati sulla faccia.
Eppure, eravamo lì, io e un amico, due pescatori che sanno leggere l’acqua e che si fidano ciecamente l’uno dell’altro.
Lui conosce ogni segreto di quella zona, io tengo gli occhi fissi sul mare, pronto a cogliere anche il più minuscolo dettaglio.
In mezzo a quel movimento continuo, in un mare che sembrava troppo agitato per lasciarci speranze, vedo un guizzo.
Un riflesso.
Qualcosa che rompe la monotonia del moto ondoso.
“Lì!”
E come succede sempre quando il mare decide di raccontarti qualcosa, tutto cambia di colpo.
La prima mangianza esplode in mezzo alle onde, violenta, sporadica, difficilissima da inseguire con quel mare.
Gabbiani che scendono, pesce che schizza via come una scheggia lucente.
L’alletterato arriva così:
in un mare grosso, imprevedibile, che ti obbliga a stare in equilibrio anche solo per stringere la maniglia della canna.
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È un combattimento breve ma intenso, di quelli che ti scaldano subito i muscoli e ti fanno capire che la giornata è viva.
Poi…silenzio.
Il mare, lentamente, comincia ad abbassarsi.
Le onde si distendono, la superficie inizia a respirare più piano.
E proprio quando il mare si calma davvero, succede di nuovo.
Un’altra mangianza.
Questa volta più pulita, più ordinata, in un’acqua che sembra quasi cambiata rispetto a diverse ore prima.
Un tonno striato…
in un mare finalmente vivibile, in un momento in cui la natura sembrava sincronizzarsi perfettamente…
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Un proiettile blu che ti mette alla prova con una carica incredibile, e quando finalmente lo portiamo sotto bordo ci scappa una risata liberatoria.
Capisci che il mare ti ha dato due assaggi… ma che quello vero, quello enorme, è ancora là fuori.
E infatti non lo vedremo.
Non quel giorno.
Non quello dopo.
Neanche la settimana dopo.
Iniziano giorni interminabili di mare calmo, piatto, troppo piatto.
Zero segnali, zero marcature, zero movimenti.
Il tipo di silenzio che solo chi fa pesca sportiva conosce davvero: quello che ti mangia le speranze, un po’ alla volta.
Ma noi non molliamo.
Mai.
Il mare lo leggi in due, non da solo.
Io e il mio amico ci scambiamo intuizioni, idee, strategie, anche solo sguardi.
Ogni scelta è un lavoro di squadra.
E poi, quando la rassegnazione comincia davvero a bussare… succede l’impossibile.
In mezzo all’ennesima distesa piatta, vedo un’ombra muoversi sotto la superficie.
Lenta.
Pesante.
Diversa da tutte le altre.
“È lui.”
Lo dico senza pensarci, come se il mare mi avesse soffocato il dubbio.
La botta arriva un secondo dopo.
Una frustata sulla canna, la frizione che canta come non aveva mai cantato nei giorni precedenti, la barca che vibra.
Il tonno rosso.
Il gigante.
Il fantasma che ci aveva ignorati per settimane.
La battaglia è feroce.
Una prova fisica, mentale, emotiva.
Braccia che bruciano, schiena che tira, mani che tremano.
Minuti che sembrano ore. Ore che sembrano un unico, interminabile combattimento.
E noi due, sempre insieme.
A supportarci, a intervenire quando serve, a capire cosa fare senza nemmeno dover parlare.
Quando il gigante appare dal blu, immenso, argenteo come un proiettile, il mare sembra fermarsi.
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È il finale perfetto di giorni difficili, di speranze consumate e poi ricostruite, di intuizioni, di letture d’acqua, di fiducia.
È il finale scritto da noi.
E firmato dal mare.
Mentre il sole cala, capisco che certe catture non sono solo pesci:
sono ricordi.
Sono amicizie.
Sono storie vere, scolpite tra le onde.
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