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Porto Pino: sfida tra uomo e mare nella Sardegna selvaggia

Porto Pino: sfida tra uomo e mare nella Sardegna selvaggia

La ricerca del punto ideale dove pescare non è mai immediata. È un’arte fatta di osservazione e pazienza. Bisogna studiare i fondali, valutare le correnti e immaginare dove i pesci potrebbero nascondersi.

C’è qualcosa di ipnotico nel mare in burrasca. Il vento che ulula tra le rocce, le onde che si infrangono con furia e la schiuma bianca che dipinge la superficie dell’acqua creano un’atmosferaselvaggia, quasi primordiale. È qui, in questo teatro naturale, che la pesca diventa una sfida, unadanza tra l’uomo e il mare, dove ogni movimento è dettato dalla forza della natura. Oggi mi trovo a Porto Pino, a circa un’ora di strada da Cagliari, uno dei luoghi più affascinanti eremoti della Sardegna. Per raggiungere questo angolo di paradiso – o forse d’inferno, a seconda delpunto di vista – ho percorso strade tortuose, fino a dover letteralmente piegarmi per attraversarevecchie strutture di cemento, probabilmente risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Bunkerabbandonati e sentieri nascosti sembrano custodire il segreto di queste scogliere vertiginose, dove ilmare sprofonda rapidamente fino a 20-30 metri di profondità.

 

 

La ricerca del punto ideale dove pescare non è mai immediata. È un’arte fatta di osservazione eLa ricerca del punto ideale dove pescare non è mai immediata. È un’arte fatta di osservazione epazienza. Bisogna studiare i fondali, valutare le correnti e immaginare dove i pesci potrebberonascondersi. Dopo aver esplorato diversi punti, scelgo una scogliera che sembra perfetta. Qui, conla giusta pastura, posso attirare le prede che cerco. Preparo il mio mix con sabbia raccolta inspiaggia, sarda macinata e una miscela di pasture per saraghi, occhiate e spigole. È un lavoro chesporca – e che puzza terribilmente – ma che porta con sé una soddisfazione primordiale. Ogniingrediente ha uno scopo preciso, ogni gesto è carico di intenzione. La pastura non serve solo anutrire: è una traccia sottile, un invito per i pesci a entrare nel mio mondo.

Con le mani ancora sporche, comincio a preparare la canna. Un galleggiante robusto da 20 grammi,Con le mani ancora sporche, comincio a preparare la canna. Un galleggiante robusto da 20 grammi,un piombo scorrevole e un amo generoso sono i miei alleati contro il vento e il mare agitato.Innesco un gambero congelato – non il massimo, ma comunque efficace – e lancio. I primi minutisono di attesa, il galleggiante fluttua trascinato dalla corrente mentre studio il punto giusto perpescare. Poi, accade la magia: un movimento leggero, quasi impercettibile, tradisce la presenza diqualcosa sotto la superficie. Fermo con decisione e il pesce abbocca. È un sarago, piccolo mavivace. Lo rilascio, consapevole che ogni vita merita rispetto.

 

 

Poco dopo è il turno di un’occhiata, rapida come un lampo. Il vento continua a soffiare, le onde siPoco dopo è il turno di un’occhiata, rapida come un lampo. Il vento continua a soffiare, le onde siinfrangono rabbiose, ma io sono concentrato. Ogni cattura è una piccola vittoria, un tassello diquesta avventura che il mare mi regala. Poi, improvvisamente, il galleggiante scompare con forzasotto l’acqua. Stavolta capisco subito che si tratta di qualcosa di grosso. Il pesce tira con violenzaverso il fondo, le sue testate raccontano di una lotta intensa. La canna è al limite, il vento e le onderendono ogni movimento più difficile, ma non mollo. Con un misto di forza e fortuna, riescofinalmente a sollevarlo e a infilarlo nel retino. È un sarago straordinario, il più grande che abbia maipreso con questa tecnica: 832 grammi di pura bellezza. Lo tengo tra le mani e non posso fare ameno di ammirarlo. È il culmine di una giornata perfetta, di quelle che rimangono scolpite nellamemoria. Dopo una cattura del genere, tutto il resto sembra sbiadire. Non ha senso continuare apescare, non sarebbe lo stesso. Il sole sta calando, il mare si placa lentamente, e io sono soddisfatto.

Osservo la mia cattura e penso a quanto sia importante rispettare il mare. Non serve fare mattanzeOsservo la mia cattura e penso a quanto sia importante rispettare il mare. Non serve fare mattanzeper sentirsi appagati. Bastano un paio di pesci, un pasto condiviso con la famiglia, e hai tutto ciòche ti serve. Questo è lo spirito della pesca: un equilibrio tra sfida, pazienza e gratitudine per ciò chela natura ci offre.

Mentre sistemo l’attrezzatura e mi preparo a tornare, il pensiero va già alla prossima avventura.Mentre sistemo l’attrezzatura e mi preparo a tornare, il pensiero va già alla prossima avventura.Forse un dentice, o chissà, un altro sarago da ricordare per tutta la vita.

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17/12/2024

pesca sportiva

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